Cohen Live – Londra 21.6.2013 (recensione)

LeonardCohen.it è stato a Londra, per l’atteso ritorno di Leonard Cohen a cinque anni di distanza dal concerto del 2008 che avrebbe poi dato vita a uno dei più fortunati album live del nuovo millennio, Live in London.

La O2 Arena, che presidia la penisola di Greenwich, ed è facilmente accessibile dalla Jubilee Line della metropolitana di Londra (fermata North Greenwich), era ovviamente stracolma. 23.000 persone in semplice adorazione del maestro.

La band che accompagna Leonard è la solita, ottimamente rodata: Roscoe Beck al basso e alla direzione musica, Neil Larsen alle tastiere e all’organo, Rafael Bernando Gayol alla batteria, Mitch Watkins alla chitarra elettrica, l’irresistibile Javier Mas alla chitarra classica (e, naturalmente, bandurria, oud e liuti vari), Alex Bublitchi al violino, Sharon Robinson, Charley e Hattie Webb come voci soliste e di accompagnamento.

Cohen Londra tuttiTentare di rendere giustizia a questo fenomenale insieme di musicisti è praticamente impossibile. Ci prova Leonard per tutto il concerto, ricordando ad esempio che Neil Larsen è a sua volta un compositore eccelso e sopraffino, oltre ad essere una vera e propria autorità in materia di organo Hammond B3; oppure, presentando il fedele compagno d’armi (o forse dovrei dire “d’Army”) Roscoe Beck, quando ricorda che lo strumento che ha in mano è un basso a cinque corde da lui appositamente progettato e suonato; o quando chiama “professore” Mitch Watkins, riferendosi ai suoi trascorsi di docente nel natio Texas. Ma non c’è elemento che non spicchi per qualità musicali: Gayol è ritenuto un orologio vivente, le sorelle Webb sono musiciste sopraffine, Bublitchi viene presentato come il “principe del violino”; Sharon Robinson, oltre ad avere una voce calda e intensa, è da anni la principale collaboratrice di Leonard; per Javier Mas non servono parole, né ne esistono: l’unico modo per capirlo è ascoltarlo, e rimanere meravigliata di fronte ai suoi pizzichi. Tutti insieme poi sembrano essere usciti dritti dritti dall’orecchio di Dio, o meglio, come direbbe Leonard, di D-o.

Cohen Londra chiaro

L’apertura non regala sorprese. Leonard da anni ormai apre i suoi concerti con le stesse 3-4 canzoni e non c’è motivo per variare, tale è la semplicità con cui Dance Me to The End of Love e The Future ti portano dritto al cuore delle composizioni coheniane. La sorpresa semmai è negli arrangiamenti, più essenziali e meno barocchi rispetto al tour dello scorso anno – un tratto molto evidente soprattutto nella resa di Bird on a Wire. Dopo la metafisica Who By Fire, introdotta dallo splendido assolo di Javier Mas, Leonard “gioca” con Darkness, sempre più blues, e si diverte a rimodellarne il testo, entrando subito nel vivo della canzone. Con la ritmatissima Lover, Lover, Lover il pubblico si accende, vorrebbe cominciare a muoversi un po’, ma è troppo presto: Cohen abbassa subito i toni con un altro classico del suo repertorio, la recitazione di A Thousand Kisses Deep, seguita dalla chiusura mistica di quella che è e resta uno dei suoi pezzi più intensi, Anthem.

Cohen Londra LC4A questo punto, chi ha già visto Leonard in concerto sa che il meglio, incredibilmente deve ancora arrivare. A quasi ottant’anni, infatti, è nella parte finale di un concerto che dura quasi tre ore e mezzo che Cohen da il meglio di sé – come un diesel d’annata o un buon vino da pasto. L’introduzione a Tower of Song è giocosa, come suo solito. Leonard introduce il pubblico alle meraviglie della sua tastiera, si compiace di avviarla spingendo un sol tasto, resta impalato ad ammirarla mentre suona da sola. Poi attacca a cantare e si ferma prima della strofa più famosa della canzone. “Pensate che sia tutto quel che so fare?” e ridendo come un bambino “costringe” la tastiera a un cambio di ritmo per poi ha strusciare il gomito sulla tastiera e commentare: “Visto fin dove si può spingere un uomo?!” Naturalmente, lo stesso beffardo sorriso si è stampato subito dopo sul suo viso alla ripresa della canzone: “I was born like this, I had no choice, I was born with the gift of a golden voice”, verso sottolineato dall’immancabile risata del pubblico.

Cohen Londra Tower of Song
Leonard comincia a sciorinare i suoi classici, con l’immancabile Suzanne, la sempre allegra Heart With No Companion, la combattente The Partisan, con il contrabbasso di Roscoe Beck ben in evidenza.

Cohen-Londra-Roscoe-BeckA questo punto Leonard tira un po’ il fiato, cede il microfono a Sharon Robinson per una versione da brivido di Alexandra Leaving, prima di chiudere il secondo set con un crescendo che lascia senza fiato: prima il classico romantico-pop I’m Your Man, eseguito con l’energia di un ventenne e l’astuzia di un settantenne più che navigato, con Cohen che si esalta nei diversi ruoli che via via si va assegnando per compiacere la sua donna, o meglio la donna di tutti, la donna ideale; poi una versione asciutta, spirituale e intensa di Hallelujah, in verità la più bella ch’io abbia mai ascoltato, e infine il terzo tempo di Take this Waltz.

Cohen Londra inginocchiato verde
Leonard lascia il palco ma tutti sanno che tornerà. E infatti lui non tiene nemmeno alta la suspense. Appena il tempo di scendere e risalire le scalette ed è di nuovo al centro del palco, pronto come sempre a scappellarsi davanti ai suoi musicisti, a guardarli rapito mentre suonano, ad inginocchiarsi verso il suo pubblico. Riattacca con una versione molto coinvolgente di So Long Marianne, e perfino la compostissima O2 Arena comincia a cantargli dietro (fin lì era stata in quasi religioso silenzio), ad alzarsi in piedi per una lunga standing ovation che durerà per tutti e sei i pezzi del lunghissimo encore. Il ritmo rallenta nuovamente per Going Home, anch’essa “alleggerita” di qualche strofa, e poi risale con la battagliera ed accelerata First We Take Manhattan.

Cohen Londra LC BublitchiQuando, dopo aver lasciato alle sorelle Webb il compito di cantare suonare If It Be Your Will accompagnate da chitarra e arpa, Leonard chiude il concerto con Save The Last Dance For Me dei Drifters, c’è della malinconia nell’aria. Sono passate quasi quattro ore dall’inizio del concerto, eppure nessuno sembra averne avuto abbastanza.

Cohen Londra Webb sisters
SCALETTA COMPLETA

PRIMO SET
1. Dance Me to the End of Love
2. The Future
3. Bird on a Wire
4. Everybody Knows
5. Who by Fire
6. Darkness
7. Ain’t No Cure for Love
8. Amen
9. Come Healing
10. Lover, Lover, Lover
11. A Thousand Kisses Deep (recital)
12. Anthem

SECONDO SET
13. Tower of Song
14. Suzanne
15. Sisters Of Mercy
16. Heart With No Companion
17. Waiting for the Miracle
18. Anyhow
19. The Partisan
20. Alexandra Leaving (cantata Sharon Robinson)
21. I’m Your Man
22. Hallelujah
23. Take This Waltz

ENCORE
24. So Long, Marianne
25. Going Home
26. First We Take Manhattan
27. Famous Blue Raincoat
28. If It Be Your Will (cantata dalle Webb Sisters)
29. Save the Last Dance for Me (cover dei Drifters)

1 commento

Lascia un Commento

Want to join the discussion?
Feel free to contribute!

Rispondi a Massimo Annulla risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>